Il fotografo di cui parleremo oggi è uno di quelli con la effe maiuscola.
Dagli anni ’70 ad oggi ha documentato praticamente qualsiasi evento accaduto sulla Terra.
La guerra in Vietnam, il regime cileno di Pinochet, il Sudafrica e l’apartheid, la Repubblica del Biafra, l’infinito conflitto tra Israele e Palestina.
E ancora, la Guerra del Golfo, la devastante guerra svoltasi in Irlanda del Nord e che coinvolse l’IRA, il Messico, il Tibet e l’Afghanistan.
Stiamo parlando di Abbas Attar, più comunemente conosciuto come Abbas.
Per chi non lo conoscesse potremmo definirlo così: “Abbas, iraniano, nato fotografo”, è proprio in questo modo che iniziano molte delle sue biografie.
Un riassunto che, a differenza di quanto possa sembrare, è tutt’altro che spocchioso.
Infatti, riflettendoci maggiormente e osservando i suoi scatti, si può percepire il senso di quella frase: la fotografia per Abbas è un qualcosa che lo accompagna da tempo immemore.
Ha fatto ingresso nella sua vita sin da quando era bambino e da allora i due non si sono mai più separati.
Ma torniamo alla sua carriera.
I più attenti di voi si saranno accorti della mancanza di una grossa fetta del suo lavoro svolto in giro per il mondo.
Ho infatti volontariamente tralasciato la sua più grande fatica: documentare la religione.
L’Islam su tutte. Il cristianesimo poi e il paganesimo per ultimo.
Questo suo interesse nel voler raccontare le religioni lo porterà in quelle parti del mondo per lui ancora inesplorate.
Un elenco infinito: Cina, Marocco, Tunisia, Filippine, Russia, Regno Unito, Cuba, Kirghizistan, Egitto, Libano, Serbia, Bosnia, Kosovo, Sudan, Mali, Pakistan, Stati Uniti, Francia, Spagna, Corea del Sud, Brasile, Francia, Italia, Arabia Saudita, Kuwait, Iraq e infine la sua terra natale, questa volta tutt’altro che sconosciuta: l’Iran.
Per quanto riguarda l’Islam, Abbas, vuole congelare col suo mezzo fotografico il risorgere di questa religione, il fervore delle masse, l’esaltazione e la follia, ma anche i momenti di intimità, di meditazione del singolo e del rapporto che questo vive con Allah.
Spesso accanto alle sue immagini sono stati affiancati frammenti del suo diario personale.
La scrittura è un’altra passione del fotografo che però la vive in questo modo: “Forse la fotografia non è “scrivere con la luce”? Con la differenza che, mentre lo scrittore è padrone della sua parola, il fotografo è posseduto dalla sua fotografia, dal limite imposto dal reale, che deve trascendere se non vuole diventarne prigioniero”.
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