È la volta di Alessandro Calabrese.
Parlaci un po’ di te.
Trentino di nascita, laureato in architettura allo IUAV di Venezia, dall’inizio del 2012 vivo a Milano dove frequento il Master in Photography and Visual Design organizzato dalla Fondazione Forma in collaborazione con NABA, un tentativo lungo un anno per provare a capire come fare le cose sul serio nel mondo della fotografia d’autore.
Perché hai scelto la fotografia analogica?
Non è stata propriamente una scelta, inizialmente è stata più una fascinazione istintiva, successivamente si è trasformata in un’urgenza inevitabile che mi ha fatto capire la reale importanza dell’educazione analogica nel campo delle arti visive.
Cosa ti piace fotografare?
Proprio in questo periodo sto riflettendo molto a riguardo, e più rifletto più cose escludo dal mirino della mia macchina fotografica, direi quasi tutto forse, tranne ciò che apparentemente non chiede di essere fotografato.
Spiego, mi trovo a concentrare la mia attenzione su ciò che ha visivamente meno forza e normalmente sembra privo di interesse, il dimenticato o il non notato, per non distrarre e ingannare il fruitore dell’immagine con soggetti che prendano il sopravvento sul mio sguardo, così da mettere in primo piano il puro gesto fotografico in sé.
Quali sono le tue macchine fotografiche?
Una Pentax Asahi 6X7, una Hasselblad 500 C/M e una Yashica T4.
Sogno una Voigtlander Bessa III, per il grande formato invece c’è tempo.
La fotografia che ti piacerebbe fare.
Al momento sono soddisfatto del percorso che sto intraprendendo, anche grazie all’aver trovato un equilibrio col mio formato preferito che è quello 6X7, l’eventuale passo alternativo, in quanto entrambi gli approcci possono coesistere, sarebbe quello di abbandonare una fotografia ancora legata all’estetica e puntare tutto sul concetto, soprattutto attraverso un lavoro di appropriazione e archivio delle immagini altrui, d’ ispirazione i lavori di Thomas Ruff, Scuola di Düsseldorf, su tutti.
Hai un fotografo preferito?
Ne ho diversi, celebri e non, di recente mi sono perdutamente innamorato del lavoro di Laurenz Berges, ancora Scuola di Düsseldorf, ma se devo fare un solo nome, per l’influenza che ha avuto sul mio lavoro, non ho dubbi, Guido Guidi.
Una bella foto deve…
E’ il concetto di bella che non condivido, credo piuttosto che una foto debba essere credibile.
Sito web: flickr/ztona
Email: [email protected]
 
Leave a reply
what do I think ? I don,t think ,I just love it
(its all about feeling for me )