Ci sono in giro miriadi di tutorial per autocostruirsi macchine fotografiche, soprattutto a foro stenopeico, lo sappiamo, ma non ne siamo mai sazi!
Oggi il caro amico Giuseppe Zappalà, a tal proposito, ci parla di un suo doppio progetto (non ancora in fase esecutiva) molto particolare, capace di portarci lontanissimo dal mondo reale. La fotografia è, infatti, capace di distorcere la realtà a nostro piacimento, più che di riportare una realtà obiettiva.
E vediamo subito i progetti, che vanno, certamente, ancora affinato con i calcoli sul diametro dei fori e la lunghezza focale, arricchiti con studi sui sistemi di otturazione e degli alloggiamenti per le pellicole… Ma magari a qualcuno di voi, nerd della fotografia analogica, leggendo, salta in testa di completare l’opera e farci vedere il risultato finito, in carne e ossa… anzi, in plastica (o quello che volete) e pellicola!
Parliamo di prototipi, dunque, il condizionale è d’obbligo, è ancora tutto da sviluppare, testare e affinare. Magari non funzionerà tutto al primo colpo… Ma non è questo il bello della creazione?
Lascio, quindi, la parola a Peppe.
“Come sono arrivato a ciò? Il leit motiv è quello di rendere la fotografia sempre meno fotografica e sempre più pittorica.
La fotografia stenopeica si presta benissimo a questo genere di sperimentazione. Si presta, oltre che per le sue proprietà intrinseche, anche (e soprattutto forse!) per il fatto che possiamo metterci le mani dentro, possiamo costruirci da noi il mezzo con cui scattare.
Come rendere una foto pittorica? Allontanandola dalla realtà, estremizzandone l’aspetto astratto!
Ma non solo! Lasciando anche che il caso, l’imprevedibilità, il non totale controllo sul mezzo, la rendano veramente unica e irriproducibile anche per noi stessi.
A questo punto sono partito dall’idea di due fori disposti frontalmente, in modo da permettere che due fasci di luce si incrocino.
Ho buttato giù un primo disegno:
Una macchina per esposizioni multiple simultanee, di cui una in redscale. Ovvero due immagini sovrapposte impresse, però, ciascuna su un lato della pellicola, una sul recto e una sul verso (in redscale).
E’ sottinteso l’intento “romantico” di bloccare sulla pellicola due diversi punti di vista dello stesso ambiente. E’ un po’ la ricerca che fecero i cubisti, sullo spazio e sui volumi.
Ma come mostrare tutti i lati contemporaneamente e con quali risultati!?
Pensando pensando, dopo il primo progetto mi son domandato come potevo amplificare il tutto, portarlo alle estreme conseguenze.
La risposta che mi sono dato è stata: aggiungendo alla sovrapposizione la deformazione dell’immagine.
Così nasce l’idea della seconda fotocamera.
Essa è basata sull’alterazione della prospettiva e, ancora una volta quindi, sull’allontanamento dalla realtà e sulla sua trasfigurazione.
Le due immagini si incontrano su un piano pellicola non più tradizionalmente parallelo al piano di ripresa, bensì perpendicolare a questo.
Inoltre il piano sul quale scorre la pellicola è ricurvo, convesso per essere precisi.
In questo modo l’immagine generata dovrebbe essere oltre che deformata, più nitida al centro e più sfumata ai bordi.
Nella zona centrale del fotogramma si dovrebbero incrociare, sovrapponendosi, due differenti viste dello stesso soggetto.
Il risultato dovrebbe tendere a un’astrazione pittorica, simile a quella di alcuni dipinti simbolisti.
Il “gioco” può essere ulteriormente sviluppato, per esempio con l’inserimento nella camera di frammenti di specchio affinchè l’immagine si rifletta e si spezzi in più parti.
Come dicevo prima, il filo conduttore dal quale sono partito è quello dell’astrazione, con una buona dose di casualità e impossibilità di controllo. L’esigenza è quella di eliminare le barriere e i preconcetti che si formano nel nostro cervello durante la post-produzione dell’immagine (di cui siamo ormai schiavi!).
Come perdere il controllo di noi stessi? Semplicemente facendo da “stargate” per l’epifania dell’immagine fotografica … Non dobbiamo fare altro.
Al resto penseranno le circostanze. E sarà allora che la nostra fotografia sarà il nostro golem, questo deve essere … e nulla più”.
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