Si ritorna ad aprire la valigia, a viaggiare nello spazio e nel tempo: si vola in Cina, negli anni tra il 1959 e il 1961.
Le foto di oggi sono un vero tesoro d’oriente, che non si vedono nemmeno sui libri di storia.
Le stampe, vecchie di 55 anni, sono (manco a dirlo) tecnicamente ineccepibili, giunte al 2015 in ottimo stato. Sono stampe grandicelle: il lato corto è 13 cm circa e quello lungo oscilla tra i 16 e i 20 cm (sono tutte di formati diversi, probabilmente croppate perchè penso siano state scattate con la medesima attrezzatura).
La fortuna vuole che dietro alle foto ci siano scritti luogo e soggetti rappresentati, in un’ampia descrizione.
Un tesoro fantastico e terribile.
Le foto sono state scattate, prodotte ed immagino distribuite per il mondo dalla Hsinhua (o Xinhua) News Agency, l’agenzia di notizie dello stato cinese (Wikipedia la definisce la “maggiore e più antica delle due agenzie di stato”). Un colosso della propaganda.
Se penso alla propaganda novecentesca sono abituato ad immaginare solo quei bellissimi manifesti disegnati, con slogan e disegni metaforici, celebrativi, e non a delle immagini “costruite” della realtà.
L’agenzia con queste immagini voleva informare sulla vita delle comuni, all’alba delle grandi manovre e cambiamenti del “Grande Balzo in Avanti”.
Il “Grande Balzo in Avanti” fu il grande piano economico attuato tra il ’58 e il ’60 volto a lanciare la Cina tra i paesi industrializzati. Un enorme piano progettuale volto a programmare la crescita ed a modificare la struttura della società cinese, che però si rivelò un enorme disastro su molti piani, per il quale (anche grazie ad un’enorme carestia dovuta alle sciagurate idee messe in campo) pagarono con la vita come minimo 14 milioni di persone (si stimano tra i 14 e i 40 milioni di morti).
Una delle misure fu ristrutturare la società e la convivenza portando le persone a vivere nelle comuni, dove condividendo materiali e lavoro si sarebbe ottimizzato lo sforzo verso l’industrializzazione (un’industrializzazione che doveva passare anche per fornaci d’acciaio da giardino).
Queste immagini sono prodotte per raccontare l’idilliaca vita delle comuni e presentare al mondo il successo del progetto del partito cinese.
Oggi sappiamo che sono costruzioni e può quasi venir da ridere, ma per comprendere la forza e l’importanza di scatti di questo tipo dobbiamo fare lo sforzo di calarci nella società del 1960, nell’assoluta incapacità tecnologica da parte della quasi totalità delle persone di reperire informazioni al di fuori di pochissimi canali ufficiali.
Cosa dicono queste immagini? Che la realtà è ostica da raccontare nell’immediato; che la realtà è sempre mediata, e che la realtà mediata dai soggetti sbagliati viene distorta.
Ci dicono anche che oggi, al contrario di allora, abbiamo l’occasione di indagare in maniera molto piú semplice e, al contempo, abbiamo il dovere di accendere il cervello per arrivare alle informazioni giuste. Siamo noi i costruttori del nostro destino e non dobbiamo lasciarci trascinare dal racconto distorto della realtà ma dobbiamo indagare e sapere, perché le informazioni ci sono e la superficialità è un peccato capitale.
Didascalia:
Comune del popolo di ChengChow “Bandiera Rossa”
Una delle prime comuni create in Cina
Una grande rete di 178 centri servizi grandi e piccoli sono stati preparati nella comune per garantire vari servizi per i membri. Qui si vede un lavoratore del centro servizi che decora una stanza della comune per il membro Tu Hsiunying, che è pronta per sposarsi, foto di Yuan Ling (NDR: che in cinese sta per Anna, quindi “foto di Anna”).
9 Aprile 1960
Didascalia:
La crescita salutare delle persone delle comuni
I ristoranti comunitari, che sono gestiti in accordo con il principio di partecipazione attiva e spontanea sono caldamente benvenuti dalle grandi masse dei contadini, particolarmente dalle donne contadine. Questo perché le cantine comunitarie aiutano ad alleggerire il lavoro duro per le donne e permettono loro di entrare a far parte della produzione. La foto mostra un ristorante pubblico, diretto dal gruppo di produzione della comune di Jungkwei nella contea di Heunteh, provincia di Kwangtung.
3 Settembre 1959
Didascalia:
I lavoratori di Tangsman accelerano la produzione di porcellane
Li Un Fang (a destra) e Shih Cheng-chin (a sinistra).
Le lavoratrici della fabbrica di porcellana di Yufen nella città di Tangshan, provincia di Hoperi, stanno discutendo su come migliorare le pitture sulle porcellane di uso quotidiano.
Foto di Shih Pan-Chi
Marzo 1961
023.
Didascalia:
I manufatti di Pechino per le esportazioni
Kuo Shiu-fang, una donna lavoratrice nella fabbrica di smalto di Pechino, fa un controllo finale dei nuovi prodotti – vasi floreali smaltati, questi smaltati sono realizzati per l’esportazione.
Foto di Hung Ching-ta
17 Agosto 1960
Viaggiare in Cina nel 1959 non era da tutti e non era semplice.
Lo fece Carlo Levi, inviato da La Stampa, dopo il successo del suo reportage del viaggio in India del 1957.
Vi propongo un frammento del suo reportage. Come le fotografie che ci sono qui sopra anche il racconto è affascinante: Levi è affascinato da un società profondamente diversa da quella Europa.
Le fotografie sono il perfetto accompagnamento per questo reportage, praticamente raccontano la stessa storia.
Neanche lui, nonostante fosse sul posto, riuscì a percepire il disastro (che non gli fu mostrato in quel viaggio) della violenza e dei morti nascosti dietro al fascino della Cina che cambiava.
La Stampa – 31 dicembre 1959
VIAGGIO IN CINA
Una rosa è una rosa
Andiamo, nel mattino invaso dal sole, per le strade di Canton, discutendo con un amico italiano, grande competente di storia e di cultura cinese. Folla dappertutto: miriadi di persone; come quella che ho visto ogni giorno, ogni ora, in tutte le città e le campagne, nelle vie, nelle officine, sulla terra: il numero infinito, la ripetizione: gli uomini che sembrano intercambiabili senza fine, faccette di un immenso poliedro regolare: modesti e sorridenti, umili in tutti i sensi della parola, e insieme parti così lenti di qualcosa di più grande, di uno sterminato corpo collettivo che è il popolo, la nazione cinese, continua e immortale nella sua storia, nella morte delle sue generazioni. L’amico mi va dicendo che qui non esiste realmente l’individuo, nel senso che millenni di cultura gli hanno dato nei nostri paesi, ma soltanto un collettivo nazionale che sente in sé di essere il primo del mondo, che, dopo lunghissimi sonni, si muove, e si fermerà soltanto quando avrà affermato questo suo primato. Non c’è nessuna metafisica, nessuna mitologia, non c’è stata mai nessuna religione. C’è, invece, la ragione, e il lavoro, le mani, strumento della ragione, e la virtù della coesistenza come mezzo più razionale per essere felici. Non c’è l’idea della colpa, né l’idea del peccato: ci può essere soltanto l’errore, che si può correggere sempre con la persuasione: non c’è dunque realmente né bontà, né malvagità: il malvagio, che non può essere persuaso, non è un uomo. La modestia che dappertutto si esprime nel mite sorriso non è la nostra, superbia rovesciata, ma la manifestazione dei limiti reali dell’esistenza individuale. E l’arte è descrizione, amore razionale della natura. Perfino la cucina (continua il mio amico) è antiindividuale, con le sue meravigliose mescolanze, dove ogni singolo cibo si confonde e si perde in un tutto. Seicentocinquanta milioni, è una parola: un insieme unico che non si distingue in parti personali. Le persone sono farfalle fragili. E’ veramente così? Gran parte dei viaggiatori e degli osservatori, anche i più amichevoli e entusiasti, si sono fermati, a un certo punto, davanti alla realtà dei cinesi, e hanno detto e scritto che essi non si possono capire. Mi domando se questa difficoltà, se questo mistero, non sia altro che quello della semplicità: se, per capire, non sia necessario, e non basti, sforzarci di uscire dalle complicazioni della psicologia individuale, dalla complessità delle cause che non scindiamo dalle cose, dalle oscurità religiose e poetiche dei miti arcaici che fanno, al di là della coscienza, la nostra struttura più profonda. La poesia cinese è così semplice, che ci si domanda (per quanto se ne può intendere dalla traduzione) se essa sia sublime, o se essa esista come poesia. “Una rosa è una rosa” : quella che da noi è stata la frase simbolica dell’inizio del decadentismo, della scissione, della crisi contemporanea (e i cinesi, senza volerlo, vi hanno paradossalmente contribuito), per i cinesi potrebbe essere, al contrario, un momento totale e unitario di ragione poetica. Nel palazzo del Parlamento, a Pechino, in cima alla scala d’onore, c’è un grande quadro eseguito da due pittori. Rappresenta la Cina: una successione infinita e leggera di montagne, di valli, di foreste, di terra, di nebbia, sotto un cielo bianco dove il sole è rosso e rotondo come una pallida arancia. Sul quadro è scritta, con la calligrafia di Mao, una sua poesia. Dice semplicemente: «Come sono belle le mille montagne, e i fiumi! ». Dov’è la retorica celebrativa? Dove sono gli individui? Le montagne e i fiumi.[…]
Qui Completo
Qui trovate i dettagli sui viaggi di Carlo Levi in oriente e sul volume che raccoglie i suoi reportage.
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