Gli esperimenti ci piacciono tanto! Oggi parliamo di film soup, zuppe a base di pellicola.
Ci sono moltissime ricette, quasi quanto quelle della nonna, e ognuno ha la sua preferita, alcuni addirittura ne hanno una segreta.
La prima zuppa è come l’amore, non si scorda mai. Tra problemi vari, lampi di genio ed errori, odio reciproco con il lab di sviluppo… È una vera e propria impresa. Come dimenticarla? Il bello è che dopo tutto questo casino, ci si ricasca nuovamente, persino volentieri, e si inizia a pensare già alla prossima ricetta. Perchè fare fotografia analogica vuol dire anche viverne e accettarne il lato più avventuroso e pazzo.
Oggi Paola Bottino ci racconta la sua prima esperienza, da completa newbie che si tuffa direttamente dal trampolino più alto, per cui… Alquanto travagliata.
“Era da un po’ che volevo esercitarmi con la fotografia analogica e, non avendo grandi basi in materia, ho pensato che il modo più immediato per avere dei risultati soddisfacenti fosse quello di “sperimentare”.
Armata della mia Fuji DL400 (macchinetta che il mio caro, vecchio babbo aveva appositamente comprato 24 anni prima per fotografare il mio primo vagito) e dei rullini più economici che si possano trovare sul mercato, mi sono messa subito all’opera.
I miei primi esperimenti si sono rivelati un vero disastro! Per paura che i prodotti usati non rimanessero sufficientemente impressi sul film, mi sono data ai cocktail più sfrenati. Ma detersivi, caffè, uova, blu curaçao, sbalzi termici e quant’altro non hanno fatto altro che restituirmi pellicole accartocciate e completamente nere.
Tenace come non mai, ho voluto dare alla scienza un’altra possibilità e, documenti alla mano, ho provato un ultimo esperimento: acqua bollente e detersivo per i piatti, un classico.
Scattata l’ultima foto, ho messo l’acqua sul fuoco il tempo necessario a scaldarsi, ma senza portarla a bollore. Ho buttato il rullino in pentola e aggiunto una manciata di detersivo viola. Mestolo alla mano, ho girato per un paio di minuti per poi spegnere tutto prima dell’ennesimo flop.
Dopo di ciò, ho agitato il rullino quasi fosse una maracas per eliminare tutta l’acqua, passando di tanto in tanto il phon non troppo caldo.
Piena di speranza, mi sono recata dal fotografo sotto casa, raccontandogli dell’esperimento e premunendolo su eventuali fuoriuscite d’acqua saponata. Avuto il suo benestare, sono tornata a casa piena di speranza, ma, col passare dei giorni la speranza è diventata angoscia e l’angoscia, sfiducia e rassegnazione. Alla quasi promessa di non toccare mai più un rullino (circa 40 giorni e 7 telefonate dopo), le mie foto erano miracolosamente pronte!
“Ecco signorina, le sue foto sono uscite così” mi dice il fotografo con aria rammaricata.
Al primo sguardo, mi accorgo che era proprio quello che speravo e volevo così comunico al signore (sia all’onnipotente in cielo che a quello che mi stava davanti) che sono felicissima del risultato.
“Ah… ok“. mi risponde stupito e anche un po’ saccente “Abbiamo due concetti di fotografia molto diversi“.
Sì, è vero. Probabilmente ha ragione. Per lui la fotografia è un lavoro certosino (e anche redditizio a giudicare dal conto!), per me invece è quel tempo infinito che passa tra quello che immagini e quello che realizzi grazie ai tuoi mezzi e anche un po’ di fortuna.
Per conoscere meglio Paola Bottino:
flickr/paolamalloppo
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