Ma che cos’è il reale?
Credo che tutti sappiano definirlo, in ogni caso il dizionario ci viene in aiuto:
reale [re-à-le] agg.
• che esiste o è esistito veramente, che è in atto SIN. effettivo, concreto, vero
E il reale in fotografia che cos’è?
Come si può interpretare?
Esiste?
La fotografia sin dalla sua nascita si è fatta carico di questo fardello, pesantissimo.
I suoi massimi esponenti nel tempo l’hanno utilizzata per raccontare, documentare, riportare, sezionare, prelevare e poi mostrare.
In alcuni settori una fotografia è considerata come l’esatta rappresentazione del reale, in altri, invece, ad una immagine è richiesto tutt’altro.
Anche i più ignoranti in materia sapranno che questo canale espressivo è nato con la nascita dei dispositivi fotografici, che sono appunto dispositivi, cioè congegni utilizzati per compiere una determinata funzione.
La meccanicità del processo porta già ad una distorsione del reale.
La storiella per cui la macchina fotografica è solo lo strumento col quale si preleva una porzione di realtà, va a farsi benedire.
La macchina fotografica non è solo, bisogna essere consapevoli che essa gioca un ruolo fondamentale nella produzione delle immagini, e non parlo del solito feticismo nei suoi confronti. Mi riferisco al fatto che non la si può considerare neutrale e obiettiva.
Mi spiego meglio, già durante le fasi di progettazione del processore di una reflex, ad esempio, gli ingegneri decidono come questa reagirà alla gamma dinamica, ai rossi, ai verdi, ai blu, quindi rimanendo nella stessa casa produttrice possono esserci variazioni importanti anche solo tra un modello e un altro, figuriamoci tra le varie case.
Il discorso è lo stesso per quanto riguarda la pellicola.
Stessa cosa vale anche per le lenti, la distorsione che causano allo scatto è del tutto involontaria, ma c’è ed esiste.
Infine una buona dose di “colpevolezza” va attribuita alle lavorazioni che si attuano in camera chiara o camera oscura.
Prendendo per buono tutto quello detto sinora, ed essendo consapevoli di non poter intervenire e gestire completamente questi fattori, aggiungo altro.
Qualche settimana fa parlando di Ara Güler scrissi che l’Autore è convinto tutt’ora della “genuinità e salubrità del mezzo” e che “il fotografo debba essere una persona curiosa alla ricerca della verità e della realtà”.
Sulla base di questa affermazione emerge l’importanza dell’intento del fotografo e della sua buona fede.
Da qui non si scappa, ognuno di noi sa quanto è stato sincero con sé stesso, quale dettaglio ha escluso dall’inquadratura in modo tale da raccontare ciò che lui voleva.
L’ennesima manipolazione della realtà può avvenire attraverso lo scritto, la didascalia, che molte volte accompagna i vari progetti fotografici, con esso l’Autore può interpretare diversamente la realtà, dirottando così l’attenzione sulla non-realtà, su un qualcosa mai esistito.
Insomma, questa riflessione potrebbe essere infinita, ma il mezzo mi ha imposto di trattarla in modo semplice e conciso, avrei voluto soffermarmi di più su ogni singolo punto ma tant’è.
In ogni caso questo scritto mira, come sempre, a far pensare e riflettere; senza nessuna pretesa chiaramente, come se fosse una discussione tra amici al bar.
Logicamente tutto questo porta ad una conclusione. Perché c’è una conclusione.
La realtà esiste, è là fuori. La fotografia esiste, è nelle nostre menti.
La realtà in fotografia è un ossimoro.
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