È la volta di Francesca Iovene e della sua serie intitolata “milan / a sweep through”.
Parlaci un po’ di te.
Mi chiamo Francesca, ho appena compiuto 26 anni e sono nata e cresciuta a Brescia. Ho studiato al Politecnico di Milano e tra qualche mese sarò laureata in architettura. Ho vissuto a Milano ad anni alterni e l’anno scorso sono stata a Valparaíso, in Cile, per l’ultimo anno di specialistica. Non potrei raccontarmi senza parlare del mio rapporto con l’architettura: ha inevitabilmente influenzato il mio modo di pensare, di vedere le città, gli spazi, le persone, lo stato delle cose.
Probabilmente non avrei iniziato a fotografare se non avessi iniziato a studiare architettura, o magari sì, ma in modo completamente diverso. Quando ero più piccola disegnavo molto, poi durante gli ultimi anni del liceo ho smesso – era diventato addirittura un blocco, e poi è arrivata la fotografia, quasi all’improvviso, ed è stato un mezzo di comunicazione scelto un po’ istintivamente, per spiegare come vedevo le cose, per appuntarmele. Il mio modo di fotografare è cambiato parallelamente al mio modo di progettare o pensare all’architettura e alla vita che gira attorno ad essa.
Perché hai scelto la fotografia analogica?
Alterno la fotografia analogica a quella digitale, in verità. Sto cercando di trovare il mio mezzo di comunicazione preferito, quello con cui mi trovo meglio. Tipo quando scegli una matita, o un tipo di penna. Penso sia più o meno uguale.
C’è da dire che la fotografia analogica mi dà più soddisfazioni, perché quando guardo il risultato finale sento di aver fatto un lavoro migliore rispetto a quando fotografo in digitale. Le prime volte che ho usato l’analogica ero molto stupita di questa cosa. Ingenuamente. Penso sia questione di attenzione, o forse perché, per esempio, con un rullino in bianco e nero mi sembra di dover guardare alle cose in modo più assoluto, dovendo analizzare una situazione per com’è, spoglia di colori che possano distogliere l’attenzione e cambiare il senso della scena.
Poi per questioni di praticità, fino ad ora, non ho avuto molta costanza, ma mi piacerebbe approfondire.
Parlaci della tua serie “milan / a sweep through”.
Dunque, è una serie sviluppata nel 2012/2013, mentre vivevo a Milano durante il primo anno di specialistica. Mi fa venire nostalgia, a guardarla ora che non sto vivendo lì (ma la volontà è quella di tornarci).
Era un periodo in cui portavo spesso la macchina fotografica nella borsa. È una serie molto personale, nel senso che ho iniziato a fotografare i luoghi in cui passavo spesso, i percorsi che facevo di routine, casa, università, lavoro, svago, eccetera. Non ci ho pensato approfonditamente prima di vedere questa ciclicità, riguardando le foto. Era evidente che descrivevano con molta semplicità le mie visioni abituali, quindi ho scavato un po’ più a fondo tra ricordi e significati di tutti questi posti e ne sono usciti dei dittici.
Quali sono le tue macchine fotografiche e che pellicole utilizzi?
Per la serie su Milano ho usato una Canon AV-1, un regalo a cui sono molto affezionata e che ho usato quasi sempre. Ho anche una Minox GT che ho usato un paio di volte. Mi piacerebbe provare molti altri mezzi, per capire con quale mi trovo meglio, come già dicevo. In realtà è stato quando ero in Cile che ho preso la decisione di voler approfondire l’analogico, ma mi sono imposta poche distrazioni finché non concludo un importantissimo capitolo della mia vita.
La pellicola usata per la serie è una Ilford hp5 se non sbaglio. Ho usato sempre Ilford per il bianco e nero, mentre per i colori mi piacciono le Fuji, tipo fujicolor o superia.
Hai un fotografo preferito?
Ce ne sono parecchi che mi piacciono molto e mi hanno davvero aiutato a capire di più da che parte andare. O come farlo, più che altro.
Per la tesi del triennio avevo fatto ricerche approfondite su Luigi Ghirri, Gabriele Basilico e i Becher. Direi che sono stati fondamentali, probabilmente i primi seguiti davvero.
Ora continuo a seguire tanti fotografi che lavorano con il paesaggio e il rapporto con la città, insomma tutto quello che si lega all’urbanizzazione e le sue varie implicazioni.
La fotografia che ti piacerebbe fare.
Eh, mica facile. Vorrei continuare a lavorare sull’architettura. Vorrei unire le mie più forti “ossessioni” e trovare il giusto equilibrio perché possa continuare a ricercare ed esprimermi attraverso entrambe le cose. Secondo me, con questi due soli elementi si possono trovare infinite combinazioni.
Prossimo progetto?
Ho tantissime cose per la testa, ma non sono una persona molto organizzata. Prima o poi dovrebbe vedere la luce un’altra serie in analogico su Valparaíso: è stata la mia città per un anno e sarebbe bello poterla mostrare fieramente a chi non ci è mai stato. Ho in mente varie ricerche che vorrei fare su paesaggi e confini e alcuni posti italiani, ma è ancora in fase di definizione, mentre vorrei moltissimo andare nella terra d’origine della mia famiglia, giù in Campania, e poi insomma… vedremo cosa ne esce fuori.
Per ora è tutto in stand-by per qualche mese, ma credo che questo farà crescere ancora di più la volontà di dedicarmici dopo.
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