È la volta di Gianluca Morini e del suo progetto “A long journey through nothing new”.
Parlaci un po’ di te.
Ho 21 anni, originario di Como, ma attualmente residente a Varese dove vivo e studio. La fotografia mi ha sempre accompagnato fin dall’adolescenza, inizialmente come hobby da affiancare ai primi viaggi, per poi convertirsi nell’arco degli ultimi 3 anni in una passione molto forte, che occupa gran parte del mio tempo libero. Non esco quasi mai senza macchina fotografica, e spesso anche quando sono con amici ne approfitto per scattare ulteriormente. Mi piace documentare: che sia un breve tragitto in auto o momenti più intimi, se la situazione mi dà un “qualcosa” tendenzialmente la fotografo.
Spesso nei periodi accademici più frenetici in cui si sta attaccati sulla scrivania tutto il giorno, prendo l’automobile e vago di notte per la provincia. Mi tranquillizza e rilassa: le luci, i benzinai, i cartelli; ne sono inconsapevolmente attratto.
Perché hai scelto la fotografia analogica?
Mio padre mi ha regalato la mia prima fotocamera analogica che apparteneva a mio nonno, una vecchia Minolta Hi-Matic 7s, con cui ha fotografato e gestito il suo piccolo laboratorio in un paesino rurale del Brasile. Ho caricato il primo rullino e da lì è iniziato tutto.
Trovo l’utilizzo dell’analogico molto efficiente: mi permette di pensare di più, valutare attentamente la composizione, la luce, l’angolazione, la distanza, e iniziare a farmi una immagine mentale di come potrebbe venire la fotografia, sapendo per esempio come reagisce un particolare tipo di pellicola, e di conseguenza mi permette di assegnare un ipotetico valore a ciò che sto fotografando in quel momento, scegliendo se scattare o meno. Penso sia un ottimo allenamento per la testa e per l’occhio, perché ti costringe a scegliere. Non puoi scattare a casaccio, ma devi mettere sul piatto della bilancia un gran numero di fattori, perché in caso contrario rischi di buttare via uno scatto. È una cosa che ho incominciato ad apprezzare ancora di più quando sono passato al medio formato, dove gli scatti si riducono notevolmente.
Penso però che ciò che mi piace di più è l’attesa. Solitamente porto a sviluppare il tutto quando mi trovo ad avere 10-15 pellicole, e quindi possono passare anche due o più mesi prima che abbia un riscontro. Questo mi permette di eliminare ogni legame emotivo con la foto, e di conseguenza sono in grado di valutarla con più obiettività.
Parlaci del tuo progetto “A long journey through nothing new”.
È un progetto che è nato per necessità. Ho iniziato inizialmente ad approfondire la fotografia interessandomi nel contesto della street photography. Purtroppo mi trovavo a fotografare poco in quell’ambito, sia per tempo sia perché vivevo in una piccola città, e così incominciai a potarmi la reflex ogni qualvolta dovessi fare spostamenti in auto, approfondendo nel contempo i grandi del genere.
Iniziato per necessità si è poi trasformato in una ricerca costante: ho girato completamente la circonvallazione di Milano, ho camminato quasi 50 km in un giorno partendo da Affori. Settimanalmente prendo la macchina e cerco di perdermi nella provincia Lombarda. Cerco soprattutto di indagare la nostra relazione con lo spazio: come lo delimitiamo e di conseguenza come andiamo a definire la nostra cultura territoriale. Ti sorprenderesti nel vedere che alcuni scorci d’Italia sono molto più simili ai grandi paesaggi Americani di quanto si possa pensare, ma in un modo particolare, un “Melting Pot” per utilizzare un termine inglese. E mi piace sopratutto documentare questa influenza dall’esterno.
Quali sono le tue macchine fotografiche e che pellicole utilizzi?
Utilizzo una Olympus OM1 e una Fuji 690. Per le pellicole ho deciso, dopo aver visto il lavoro di Benedetta Ristori “East”, di utilizzare le Portra 160 e 400 ASA, finché non ne avrò dimestichezza assoluta.
Hai un fotografo preferito?
Stephen Shore, di sicuro per la rivoluzione tematica che ha portato nel mondo della fotografia. Più recentemente visito molto il sito di Sean Lotman, fotografo americano che ha uno stile molto particolare e che lavora il colore in camera oscura creando delle foto parecchio “psichedeliche”.
La fotografia che ti piacerebbe fare.
Quella che acquisisca valore col tempo.
Una foto deve…
Essere anormalmente normale.
Sito web: gianlucamorini.com | instagram.com/gianluca_morin
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