Ritorna anche l’appuntamento con il Focus On, vi presentiamo Giacomo Tiberia.
Parlaci un po’ di te.
Sono nato a Frosinone, dove vivo e lavoro, mamma toscana e papà ciociaro. I miei nonni avevano una casa vicino al Monte Argentario e tutte le mie estati, fino ai 20 anni, le ho trascorse al mare. Ho iniziato a suonare da bambino, con una chitarra acquistata da mio papà alle bancarelle dei polacchi, ed è stato subito come avere un altro mondo a disposizione. Ho studiato ingegneria informatica ma ho cercato, per quanto possibile, di non limitarmi ai numeri. Ho riconosciuto attraverso la fotografia di Eggleston e Shore la letteratura americana che da adolescente ha riempito il mio immaginario e ho ritrovato gli stessi scenari nei viaggi di lavoro negli Stati Uniti.
Perché hai scelto la fotografia analogica?
Ho sentito che l’esplosione del mio occhio è avvenuta nell’analogico, in contrasto con il passato digitale. Appartengo a una generazione di passaggio, ma la mia è stata in realtà una vera e propria scoperta: la sensazione che l’analogico mi ha restituito del ricordo del momento che ho voluto fermare, non si verificava con il digitale.
Escludendo il feticismo legato al fascino esercitato dagli apparecchi fotografici a rullino, credo che ci siano elementi oggettivi e meno “psichiatrici” che dovrebbero portare a scegliere la fotografia analogica.
Ottenere, ad esempio, uno spettro cromatico digitale paragonabile in termini di resa e “pasta” a quello di una pellicola è molto complicato; la grana stessa, inoltre, è un “difetto” piacevole in analogico.
Le pellicole sono fatte per restare, una foto non è solo l’appagamento di un impulso immediato, ma è qualcosa che potrà sopravvivere al fotografo stesso.
Ci sono anche dei benefici “disintossicanti”: separare la presa dell’immagine dalla successiva visione, limitare il numero di scatti a quelli disponibili nel rullino, imparare ad accettare l’ineluttabile, come uno sviluppo andato male. La vita è analogica, perché non dovrebbero esserlo anche le fotografie?
Cosa ti piace fotografare?
Credo che ogni cosa sia degna di essere fotografata, anzi, sono convinto che in ogni quotidianità, per quanto ordinaria, ci sia sempre dello straordinario. Fotografare è sicuramente un modo per definire se stessi, nella scelta delle immagini da fermare c’è sempre un misto tra ciò che la luce scopre, e ciò che il fotografo è disposto a mostrare di sé. Forse mi piace ridurre di volta in volta la distanza dalle cose che voglio fotografare.
Quali sono le tue macchine fotografiche e che pellicole utilizzi?
Negli ultimi 3 anni ho scattato tanto con una Contax G1, affiancandola ad una Leica Mini ed una Konica S3.Le pellicole che prediligo sono essenzialmente le Kodak, sia a colori che in bianco e nero (dove utilizzo anche le Ilford).
La fotografia che ti piacerebbe fare.
Mi piacerebbe scattare una foto che resti nella memoria di chi la guarda. Probabilmente vorrei fare la foto della donna bionda che attraversa la strada, in cui grazia, fretta, solitudine e vita sono concentrate in un solo passo.
Hai un fotografo preferito?
Oltre ai già citati fotografi americani, molti europei tra cui Parr, Koudelka, Ghirri, Giacomelli, Sander, Petersen. Mi cibo anche di tanto cinema e copertine di dischi.
Una foto deve…
Citando Willy Ronis, “..riuscire a comunicare l’emozione che l’ha fatta nascere”.
Sito web: flickr/giacomotiberia | instagram.com/instacrobat/
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