Dove sta la bellezza di internet? Nelle occasioni.
Qualche mese fa ho ripreso in mano uno splendido book fotografico sullo sport, gira per casa mia da una vita. Ho letto il nome dell’autore: Marco Lussoso e ho pensato che avrei voluto fargli un po’ di domande. Così ho deciso di cercarlo e scrivergli.
Qui sta la bellezza di internet, essere a un passo dalle persone a cui vorresti parlare. Ringrazio la gentilezza e la disponibilità di Marco, un maestro non solo perché insegna ma per la sua fotografia, passata, presente e futura.
Di seguito l’intervista epistolare elettronica, in grassetto le mie domande, sotto le sue risposte.
Milano, 7 febbraio 2023
Da piccolino pensavi di voler fare il fotografo? Quando hai realizzato che stava diventando il tuo mestiere?
Ho iniziato ad appassionarmi alla fotografia quando avevo circa 12 anni perché mio padre, giornalista, mi portava spesso in redazione e vedevo i fotografi con le macchine fotografiche al collo e tutto ciò mi affascinava. Un giorno un fotografo che lavorava con papà mi prestò una macchina fotografica compatta con dentro un rullino da 36 pose e mi disse di fotografare quello che volevo, mi ricordo che fotografai i miei fratelli e qualche panorama dal balcone di casa. Aver fatto quelle fotografie mi piacque moltissimo e dopo un po’ mio padre mi regalò una macchina fotografica.
Quando hai cominciato a fotografare che attrezzatura usavi?
La mia prima reflex fu una Yashica TL-Electro con il 50mm e uno zoom 80-210mm, col passare degli anni e migliorando la mia conoscenza della fotografia ho acquistato diversi modelli sempre migliori, sia Canon che Nikon.
Come funzionava all’inizio della carriera la catena della fotografia? Sviluppavi o portavi a un laboratorio?
Avevo allestito una camera oscura nel ripostiglio di casa dove sviluppavo e stampavo le mie fotografie in B/N, molte volte sviluppavo i rullini in machina mentre il giornalista guidava, utilizzavo una sacca nera comprata apposta per non far passare la luce e così, quando arrivavamo in redazione i rullini erano già sviluppati e dovevo solo stampare le foto scelte. Quando utilizzavo i rullini a colori invece li portavo in un laboratorio specializzato.
Io sono nato nel 1988 quindi ho visto chiaramente l’ascesa del mondo digitale nella fotografia, tu sicuramente sei stato in prima linea per questo cambiamento, come è stato? Cosa si diceva tra i colleghi?
Ho iniziato la mia carriera di fotoreporter nel luglio del 1986 con il quotidiano “Il Centro” di Pescara e si lavorava in pellicola perché le prime macchine digitali non erano reflex ed avevano una qualità del file molto bassa, il sensore era di 1,3 Megapixel, solo nel 1991 la Kodak presentò la prima reflex digitale ma era troppo complessa da utilizzare e il costo era inaccessibile.
Un po’ di tempo fa in casa mia ho ritrovato il tuo libro “A Bordo Campo”. Vorrei che mi raccontassi di più di cosa è stato questo progetto ma anche di come funziona fare un libro di questo tipo, è un inseguimento di liberatorie?
Il mio libro fotografico “A Bordo Campo” era dedicato alla mia esperienza di fotografo di calcio e raccontavo i miei primi anni (dal 1979 al 2004). Adesso sto preparando il seguito che uscirà tra qualche mese, nel frattempo ho pubblicato più di dieci libri… a me piace vedere le fotografie stampate e far in modo che anche le persone provino la stessa sensazione, per questo motivo sono diventato anche editore, così produco direttamente io i libri che decido siano interessanti. Le liberatorie bisogna farle firmare solo quando si fotografano persone non famose e singolarmente, per i personaggi famosi e ritratti in eventi pubblici non occorre nessuna liberatoria.
La prima edizione era del 2004, potrei dire la fine di un’epoca, sia in capo fotografico che in campo calcistico, ci puoi raccontare cosa è stato lavorare per la Juve sul finire del millennio e come è cambiato il calcio italiano e il mestiere del fotografo sportivo.
Non la definirei la fine di un’epoca, ma solo un primo traguardo raggiunto, perché con la Juventus ho poi collaborato fino al 2007, e il calcio continuo a fotografarlo ancora oggi. Certo che il mondo del calcio è cambiato moltissimo in questi anni, prima c’era più libertà di movimento all’interno del rettangolo di gioco, il rapporto coi calciatori era più confidenziale, il fotografo poteva essere più creativo nel fare le fotografie, adesso è tutto più limitato e gestito dagli uffici stampa e Lega Calcio. Tuttavia il mestiere del fotografo sportivo continua ad avere il suo fascino e offre l’occasione di girare il mondo per seguire i grandi eventi.
Nel libro trova spazio la Fondazione “Vialli e Mauro”, di queste ore che scrivo le domande è la notizia della scomparsa di Vialli, hai qualche ricordo che puoi e vuoi condividerci?
Purtroppo la notizia della morte di Gianluca Vialli è stata dolorosissima perché, sembra retorica ma non lo è, era una persona splendida, sempre disponibile e solare, ho avuto il privilegio di conoscerlo personalmente e di fotografarlo quando giocava con la Juve e con la Sampdoria. Lui e Massimo Mauro sono stati felici quando gli ho proposto l’iniziativa benefica col mio libro a favore della lotta con la SLA.
La prefazione è scritta da Candido Cannavò, la Gazzetta di Cannavò la ricordo (anche se ero piccolino) come “il quotidiano sportivo”, una figura iconica che ha amato e servito lo sport. Che ricordo hai e che rapporto hai avuto con Candido Cannavò?
Candido Cannavò è stata un’icona nel panorama giornalistico sportivo, aveva un carisma e una personalità enormi, anche se metteva a proprio agio chi interloquiva con lui. Io l’ho conosciuto perché, prima di lavorare per la Juve, ero stato un fotografo della Gazzetta dello Sport e in diverse occasioni lo avevo fotografato. Quando ho deciso di realizzare il libro fotografico dedicato al calcio, ho subito pensato a lui per la prefazione e, quando glielo proposi, accettò con entusiasmo ed io ne fui onorato.
Da fotografo sportivo, quale è lo sport più “incasinato” da fotografare?
Gli sport li ho fotografati quasi tutti, compreso quelli meno conosciuti alla massa, tipo quelli invernali come slittino, skeleton, ecc., quelli più “incasinati” come li hai definiti tu sono stati “l’off-shore” e “il rally dei Faraoni” perché in ambedue le manifestazioni ero su elicotteri col portellone aperto ed io ero con le gambe e braccia completamente fuori per poter fotografare i motoscafi nel primo caso e le motociclette e autovetture nel secondo. Non nascondo che quando l’elicottero si alzava in volo e si metteva sulla verticale dei mezzi da fotografare la paura era molta…
Domanda stupida, ti sei mai beccato delle pallonate, o peggio, qualche giocatore addosso a bordo campo?
Le domande non sono mai stupide, a volte lo sono le risposte… di episodi del genere mi sono capitati diverse volte e te ne cito alcuni: in un Pescara-Roma di un torneo estivo ero sul lato lungo del campo e durante un’azione di gioco mi sono “crollati” addosso l’attaccante delle Roma (il brasiliano Renato) e un difensore del Pescara, siamo finiti tutti e tre per terra e, dopo l’intervento dei medici delle due squadre e poi quelli della CRI, ci siamo rialzati ed io ho riportato un leggero trauma cranico e l’attrezzatura fotografica distrutta, a Firenze hanno lanciato un moschettone di ferro colpendomi sulla testa col risultato che mi sono dovuto far mettere due punti, a Bergamo i tifosi dell’Atalanta hanno lanciato un fumogeno in campo colpendo e iniziando a far bruciare lo zaino fotografico di un mio collega, la fortuna era che io l’ho visto subito e l’ho fatto spegnere dai vigili del fuoco presenti sul campo…
Hai mai fatto qualche disastro in pellicola (rullini bruciati, sessioni di foto senza il rullo in macchina ecc…)
Chi non ha fatto errori durante una carriera di quarant’anni? Io ne ho fatti diversi ma fortunatamente nessuno “irreparabile”, un paio di volte non avevo fatto agganciare la pellicola al rocchetto interno della reflex, col risultato di non fare le foto e le ho dovute rifare, una volta la Gazzetta dello Sport mi mandò all’aeroporto di Linate per fare delle fotografie a Antonella Clerici che arrivava da Roma, dopo aver trasmesso la Domenica Sportiva, peccato che avevo le pile del flash scarichissime e, solamente la gentilezza e pazienza di Antonella mi hanno permesso di realizzare e portare in redazione il servizio fotografico, tra uno scatto e l’atro dovevamo aspettare un paio di minuti per far ricaricare il flash…
Ovviamente la tua esperienza va oltre lo sport, dai reportage di guerra, i ritratti di persone celebri e tante altre cose, cosa ti piace fare di più?
Professionalmente sono nato come fotoreporter di quotidiani e di conseguenza nell’arco di una giornata mi capitava di fotografare una conferenza stampa e un corteo di lavoratori nella mattina, un funerale nel primo pomeriggio, dei ritratti o “posati” come li chiamiamo noi in gergo fotografico nel pomeriggio e la sera un concerto musicale o spettacolo teatrale, mentre nel week end c’era sempre da fotografare lo sport: calcio, volley e basket. Nella mia carriera ho fotografato diverse Olimpiadi, i Mondiali di quasi tutti gli sport, i funerali di Madre Teresa a Calcutta, la guerra dei Balcani e in Kosovo, tanta moda. Di conseguenza non c’è un genere fotografico che prediligo, perché mi piace variare spesso per trovare sempre spunti diversi e motivazioni professionali.
Utilizzi ancora la pellicola?
Ho ancora due reflex analogiche ma per praticità e mancanza di tempo non le utilizzo da molti anni, ma sono funzionanti e restano nel mio cuore.
Parliamo di soldi. Oggi si può campare facendo il fotografo? Come si deve fare? Si può diventare ricchi facendo i fotografi? Come si deve fare?
Certo che oggi si può vivere ancora di fotografia, io e tanti miei colleghi ne siamo un esempio, anche se il mondo della fotografia è cambiato moltissimo negli anni, adesso è molto più accessibile, perché i prezzi delle attrezzature si sono abbassati notevolmente e le macchine fotografiche di nuova generazione sono molto più facili e intuitive da utilizzare di quelle di anni fa, anche se la differenza la fa ancora l’esperienza e soprattutto la competenza fotografica, dico sempre che se hai una Ferrari ma non sai guidarla, non ti serve a nulla… Per diventare un bravo fotografo e pensare di vivere con la fotografia bisogna studiare moltissimo, non limitarsi a vedere i “tutorials” sui social, fare da assistente a qualche fotografo affermato, fare esperienza sul campo e, solo dopo aver seguito questi passaggi ed aver creato un proprio portfolio valido, proporsi ai potenziali clienti.
Ho visto che hai creato una Academy, come è fare l’insegnante? Cosa insegni ovviamente si intuisce, invece tu cosa hai impari da questa esperienza?
Adesso a 60 anni continuo a fare il fotoreporter ma solo per progetti che mi interessano veramente e ho anche la fortuna di poterli scegliere, da alcuni anni abbino anche l’attività di editore producendo direttamente libri fotografici che mi stanno dando molte soddisfazioni, nei miei corsi di fotografia insegno quello che ho imparato mettendo a disposizione dei corsisti tutte le mie competenze che ho acquisito in 40 anni di professionismo, questa esperienza di photo coach mi piace moltissimo e mi da tanti stimoli e motivazioni, soprattutto quando vedo che alcuni dei miei corsisti stanno avendo successo e raggiunto i propri traguardi.
Quali artisti fotografi o quali colleghi fotografi ammiri/hai ammirato?
I miei “miti” della fotografia sono Helmut Newton, Peter Lindbergh, Andreas Bitesnich, Aldo Fallai, Marco Glaviano e Gian Paolo Barbieri…
La macchina fotografica a pellicola che consigli di acquistare nel 2023?
Sinceramente non mi sento di consigliare un modello specifico, adesso se ne trovano moltissimi, anche se preferisco lavorare in digitale con una buona Mirrorless, con una buona post-produzione puoi ottenere qualsiasi effetto dell’analogico.
Progetti per il futuro?
I prossimi progetti sono quelli di tornare a brevissimo in Ucraina e poi andare in Palestina per realizzare dei reportage che spero di far diventare due libri fotografici.
Grazie mille Marco
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