Oggi vi presentiamo Marcello Iannotta.
Parlaci un po’ di te.
Ho 38 anni, sono nato e cresciuto a Frosinone e sono un insegnante di chitarra alle scuole medie. Figlio di professori, per i miei genitori era importante che fin da piccolo imparassi più cose possibile. La letteratura, la mitologia la poesia e la storia erano per me di particolare interesse, ma il processo meccanico di apprendimento non mi interessava mai, perché forse ero più incline a comprendere i concetti piuttosto che a memorizzarli. La musica, i disegni, le storie e i giochi mi interessavano di più. Mi ha sempre incuriosito esplorare la vita nelle sue varie forme e guardare i comportamenti della flora e della fauna che caratterizzano la mia città di provincia. Col tempo ho imparato a riconoscere e a interpretare quello che mi circonda, ma continuamente trovo elementi nuovi in esso. La fotografia ha dimostrato e continua a dimostrare di essere una sorta di catalizzatore per un processo di cambiamento e osmosi simile a questo, cioè che mi vede periodicamente trasformato tra informazioni esterne e idee e osservazioni interne che ne modificano la percezione.
Perché hai scelto la fotografia analogica?
La mia generazione è probabilmente una delle ultime ad essere cresciuta con le fotografie analogiche e con la fortuna e la curiosità di poter assistere i genitori in camera oscura mentre sviluppavano i rullini. Ero tardo adolescente quando la grande rivoluzione digitale è avvenuta, a metà degli anni 2000, e al di là di un primo stupore, a me e ai miei coetanei appassionati di fotografia è capitato lo stesso che agli amanti della musica rock su vinile all’alba della rivoluzione del cd negli anni ’80. La pellicola per noi è più bella, pastosa, epica e poetica, ha un’incredibile varietà di colori, di tonalità per il bianco e nero e un’enorme gamma dinamica di dettagli sia nelle alte luci che nelle ombre. Inoltre se, come si dice, la fotografia è tutto ciò che accade prima e dopo quel “clic” dell’otturatore, nella fotografia analogica questo vale più che nella sua controparte digitale: l’analogico è ‘reale’, sei tenuto a sapere esattamente cosa stai facendo, altrimenti sbagli e l’errore spesso non è riparabile. Devi azzeccare l’esposizione, devi essere sicuro di conoscere la tua macchinetta in anticipo. La maggior parte delle macchinette ha solo obiettivi di messa a fuoco manuale. Questo può suonare un po’ ‘terrificante’ per qualcuno che ha esperienza solo nella fotografia digitale, ma una curva di apprendimento così ripida dovrebbe interessare tutti i fotografi, perché determina una differenza sostanziale nei risultati, sia in termini di raffinatezza che di aderenza alla veridicità o favolosità della scena da fermare, o alle sensazioni da suscitare attraverso la foto.
Cosa ti piace fotografare?
Se guardo indietro alle fotografie fatte in passato, sicuramente devo rispondere che mi piace fare i ritratti e fotografare le persone. La fotografa contemporanea Annie Leibovitz dice di avere una ragione segreta: “Quando voglio fotografare qualcuno, quello che significa davvero è che vorrei conoscerlo”. Ogni foto del monte Cervino sembra uguale alle cartoline in vendita in un negozio di souvenir, ma quando scatti una foto a qualcuno, magari che non ha mai posato per un ritratto, stai cercando qualcosa di unico. È una bella sensazione anche vedere a distanza di tempo il risultato prodotto, che quasi mai è quello che ricordi del momento che hai fotografato. È bello inoltre (a volte difficile, se non impossibile, soprattutto nel caso degli sconosciuti di passaggio) doversi conquistare la fiducia del soggetto, fargli perdere per più tempo possibile la propria autocoscienza o il sospetto e la paura di essere fotografato. A volte rivolgo l’obiettivo anche dove non ci sono le persone, ma magari ci sono state, sono passate, hanno lasciato la loro traccia, debole o indelebile, come nel caso delle ‘fantastiche’ infrastrutture di fabbriche abbandonate che disegneranno per sempre il paesaggio della mia provincia.
Quali sono le tue macchine fotografiche e che pellicole utilizzi?
Nikon Fm3A, Nikon L35af. Kodak tri-x 400, Kodak Portra, Kodak Ektar, Ilford FP-4, Ilford Delta, Fuji Superia.
La fotografia che ti piacerebbe fare.
Mi piacerebbe congelare momenti che insegnino come affrontare situazioni difficili nella vita, che fungano da promemoria, della bellezza e della complessità.
Hai un fotografo preferito?
Peter Parker! Scherzi a parte, potrà sembrarti banale ma fin da ragazzo giocavo a stabilire quale fosse il mio gruppo musicale preferito senza cavarne molto, perché credo sia difficilissimo preferire qualcosa per più di qualche mese, senza sforzarsi. Cito due nomi, Luigi Ghirri per l’Italia e per il colore e perché, anche se può capitare di dimenticarlo per un po’, quando vedi una sua fotografia si riconosce subito, ti schiaffeggia con lo spirito infinito e invisibile che c’è dietro, anche solo dietro al dettaglio di una cartina geografica. E Walker Evans, perché fu tra i primi ad avere per obiettivo la scoperta, l’analisi, la raccolta e la conservazione di ciò che osservava intorno a sé. Difensore della cultura popolare minacciata dalla serialità industriale, ogni sua immagine nasce per funzioni utilitarie, senza enfasi o retorica ‘autoriale’, e ci mostra ciò che era ‘tipico’ dell’epoca cercando il più possibile di non mentire. Evans ha fondato in fotografia i concetti di usuale, quotidiano, comune, anonimo, banale, familiare, privato, descrivendo condizioni sociali e atteggiamenti universali, che superano la barriera del tempo.
Una foto deve…
Guardando alle foto che hanno fatto la storia, una foto dovrebbe provare a fermare l’attimo in equilibrio tra il paradosso e le criticità, tenendo sempre d’occhio la bellezza intorno.
Sito web: flickr/marcelloiannotta
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