È la volta di Roberta Trimidini aka “‘erre’“.
Parlaci un po’ di te.
Uhm..difficile.
Mi riferisco alla richiesta.
Ma anche a me.
Salto molto volentieri noiose informazioni su quel che faccio e provo a soffermarmi su chi sono..
In estrema sintesi mi racconterei come punto d’incontro tra gli opposti. No, non esattamente d’incontro, piuttosto “di collisione”..essendo il primo presupposto di grande equilibrio, il secondo di insolubile tormento.
Un caro amico mi descrive con queste parole: “un cavo teso fino alla spasimo tra centri di gravità e orizzonti infiniti”.
Vivo a Varese, città giardino, ricca di verde e generosa di laghi.
Mi manca il mare.
Adoro la fotografia.
Detesto essere fotografata.
Perché hai scelto la fotografia analogica?
Per la stessa ragione per la quale sceglierei un vinile al posto di un cd.. Semplicemente ritengo si tratti di una scelta che risponde ad esigenze assolutamente personali.. Mi sembra di preferire qualcosa con un’anima.
In un certo senso è anche un po’ come preferire un manufatto artigianale al suo corrispettivo industriale: c’è un sapore unico in qualunque cosa porti con sé la storia di un processo che, dal suo originarsi in potenza, arriva al prodotto finito passando attraverso il cuore, la mente e le mani dell’uomo, che in quel percorso interviene divenendone parte, trasferendogli la forza dell’intento, e dunque un valore aggiunto che nulla potrebbe sostituire, non di certo la tecnologia.
Tra l’altro letteralmente impazzisco per i segni che, di quel processo, le pellicole si portano dietro, soprattutto quando io stessa ci ho messo le mani..e trovo assolutamente impagabile il sapore dell’attesa che segue l’estrazione di una pellicola impressionata dalla fotocamera..un gusto che oggi si è purtroppo perso..
Ho cominciato a sviluppare da sola il bianco e nero quasi un anno fa, purtroppo non ho ancora gli spazi, né gli strumenti necessari per gestire da me anche la fase di stampa (esperienza che mi è capitato di vivere solo una volta, tra ingranditori, luci rosse e vaschette..e che mi ha entusiasmata oltre ogni dire), ma di certo non mi darò pace finché non potrò farlo.
In sostanza, per come la vedo, la fotografia analogica E’ la fotografia.
Cosa ti piace fotografare?
Gli stati emotivi.
E quando questo è l’intento, qualunque paesaggio, qualunque scenario (con o senza la presenza dell’uomo), qualunque gesto, qualunque volto, può risultare congeniale: sono infinite le cose che ci si presentano davanti e che si possono riconoscere come rappresentative di uno stato d’animo, un’emozione, un sentimento, un bisogno, un desiderio, un segreto.
Non parlo dell’emozione che generano nell’istante in cui si manifestano, o non solo comunque. Parlo di quella che evocano, che riportano a galla, che sono in grado di raccontare.
Mi sono avvicinata alla fotografia quasi per gioco, ed è passato veramente poco prima che mi accorgessi dell’enorme potere catartico che possiede. L’ho usata a volte per liberarmi di emozioni poco piacevoli, prima che mi soffocassero. Potrei dire che in alcuni momenti mi ha salvato la vita. E’ diventata per me quasi subito canale espressivo più che mezzo di raccolta di momenti da non dimenticare. La risposta a un’esigenza. Come l’urgenza di trovare una voce. Avrebbe potuto essere la pittura, avrebbe potuto essere la poesia…per me è stata la fotografia.
Succede in sostanza che l’intorno diventi specchio dell’interno, o che lo richiami, lo stimoli… in un istante si crea quell’alchimia che lega occhi, pancia, cuore e mente, e per un attimo tutto è al suo posto.
Considero straordinaria la capacità che ha la fotografia, con un’unica immagine, di trasferire o raccontare qualcosa di preciso, un sentimento o un concetto, in maniera inequivocabile.
Ciò nonostante mi ha sempre molto affascinata il matrimonio possibile con altre due precise modalità espressive: la scrittura e la musica. Trovo si riescano a creare legami davvero coinvolgenti tra le tre.
Quali sono le tue macchine fotografiche e che pellicole utilizzi?
Andando con ordine.. Le fotocamere:
La mia adorata Canon AE-1 (era l’ammiraglia di mio padre)..le sono particolarmente affezionata ed è senza dubbio l’unica sempre presente, ad ogni uscita fotografica (anche perché è il mio unico esposimetro!)
Poi..una Petri7s, di identica provenienza, ma più datata della precedente, ed usata pochissimo per via di alcuni acciacchi; una Minolta AF-S, acquistata ad un mercatino dell’usato praticamente al prezzo di un caffè, che non può certo dare molte soddisfazioni facendo tutto da sola, ma che sa diventare preziosa se mancano le altre; una Diana mini, piccola toy camera venuta fuori dalle patatine, che sa diventare divertente diversivo.
Passando al 120: una Bronica ETRS (6×4,5) e una Diana F, altro giocattolino di plastica.
Alle Toy-cameras, confesso, non riesco ad affezionarmi troppo…devo però ammettere che gli effetti derivanti da tutti i difetti che contano, e che alla fine le caratterizzano, a volte sanno essere accattivanti..di sicuro aumentano il fattore sorpresa in fase di sviluppo/stampa.
Nella valigia dei balocchi ci sono anche un paio di Polaroid (una One Sharp 600 e una Spirit 600 CL) e, dulcis in fundo, due ospiti d’onore (ovviamente le più preziose non mi appartengono!): la principessa, una Rolleiflex Baby (4×4), che carica rulli 127 ormai introvabili, e la regina, una Hasselblad 500c/m dotata anche di dorso polaroid.
Le pellicole.
Premetto che quando ho iniziato a scattare in analogico ho chiesto a tutti, conoscenti e non, se non avessero magari in soffitta rullini ormai scaduti di cui volessero disfarsi…ne ho recuperati parecchi, erano tutte pellicole a colori, e mi hanno dato incredibili soddisfazioni per via dei particolarissimi toni colore che il loro essere datate generava..
Da quasi un anno, anche per via del fatto che ho cominciato a sviluppare il bianco e nero, mi sono concentrata più che altro su questo, utilizzando soprattutto Kodak T-max 400 e Ilford HP5 e FP4
L’intento è quello di arrivare pian piano a conoscerne il più possibile sui diversi tipi di pellicola, tanto per il BN quanto per il colore, di modo da poter poi individuare senza dubbi le mie predilette.
La fotografia che ti piacerebbe fare.
Potrei pensarne e raccontarne infinite, ma sarebbero solo frutto del mio immaginario e pertanto passibili di essere influenzate da qualcosa di già visto..
mentre invece la fotografia che mi piacerebbe davvero fare, io vorrei continuare a non conoscerla… intendo dire che vorrei proprio anche scoprirla: trovarmela davanti agli occhi in potenza, e sapere in quell’istante che è lei.
Hai un fotografo preferito?
Non uno. E comunque, più che fotografi, parlerei di precisi loro lavori. Quindi forse la risposta corretta è no.
Tra l’altro, per via del fatto che, diversamente da come agisco normalmente, con la fotografia ho percorso la strada in senso inverso – partendo cioè dalla pratica per arrivare poi alla teoria – succede che mi sono andata interessando alla storia della fotografia con un certo ritardo. Questo forse mi ha impedito di conoscere tutti i grandi maestri abbastanza nel dettaglio da poterne indicare uno in particolare come preferito. Volendo fare qualche nome, di sicuro apprezzo i lavori di H.C.Bresson, R.Avedon, J.Sieff, e tra gli italiani, L.Ghirri, B.Gardin, ma dovessi indicarne uno in particolare, senza dubbio sarebbe F.Scianna, che tra l’altro ho avuto la fortuna di sentir parlare di sé qualche mese fa e trovo non ci si possa che innamorare di lui anche al di là dei suoi capolavori.
Una bella foto deve…
Ovviamente rispondo in termini relativi. Chiamo bella una fotografia quando, pur inondandoli di delizia, attraverso gli occhi in realtà ci passa soltanto..perché quel che fa è andare dritta ad agganciare qualcos’altro dentro. Di solito letteralmente mi leva il fiato.
Sono quelle fotografie dalle quali non riesci più a levare lo sguardo, se non strappandoglielo via di forza, e che comunque poi ti restano addosso.
Sito web: flickr/inseguendoilbianconiglio
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