Questo secondo appuntamento ha come oggetto Sebastião Salgado, uno di quei fotografi il cui nome è una garanzia.
Direte voi, embè che centra con Magnum? Embè centra eccome vi rispondo io.
Dal 1979, infatti, il celebre artista entra a far parte dell’Agenzia con cui collaborerà per quindici anni, sino al 1994.
Ma ora, messo da parte il timore nel dover parlare di lui, facciamo un passo indietro e andiamo con ordine.
Sebastião Salgado nasce ad Aimorés, in Brasile, nel 1944.
Nel corso degli anni prenderà una laurea e un master in Economia, si sposerà e avrà due figli.
Nel 1971, trasferitosi a Londra con la famiglia, S. lavora come economista per conto dell’Organizzazione Internazionale del caffè e così, sempre per conto dell’Organizzazione, avranno inizio i suoi primi viaggi nel continente africano. Tornato a Londra, si rende conto delle forza di quelle immagini, così tanto invadenti e potenti da spingerlo ad abbandonare la carriera di economista.
Nel 1973 si trasferisce a Parigi avviando la sua attività da fotografo, dapprima come freelance e poi come collaboratore dell’agenzia Sygma, dell’agenzia Gamma, per poi, come dicevo ad inizio articolo, entrare in Magnum.
Lasciata anche quest’ultima, fonderà con la moglie Lélia, la Amazonas Images, una struttura in grado di organizzare e gestire il suo lavoro.
La carriera di Salgado è infinita, nel corso dei decenni visiterà più di 100 paesi, anche se quelli africani lo vedranno tornare spesso, documentando la fine dell’apartheid, la sconfitta dei regimi coloniali e le lotte dei guerriglieri.
Quando penso alle sue foto sono due le parole chiave che ballonzolano nella mia testa: gli occhi e la purezza.
La prima è giustificata dal fatto che gli occhi sono l’essenza di ogni essere umano, ma quelli ritratti da Salgado sono gli occhi di interi popoli, sono occhi che si fanno penetrare fino al punto di poterne leggere l’anima.
Sono gli occhi di tre bambini che spuntano da sotto le assi di legno, sono gli occhi speranzosi di chi è in coda da ore con un piatto vuoto in mano nell’attesa che gli venga riempito, sono gli occhi di chi ha perso una gamba e sorride davanti all’obiettivo.
E ancora, gli occhi di una giovane donna namibiana che forte del suo portamento sembra non guardare da nessuna parte, ecco questi occhi sono forse gli unici “diversi” da tutti gli altri.
Infine mi hanno colpito in modo assurdo quelli di una donna, ritratta in Malawi nel 1994 e che, mi dice la didascalia, stava per far ritorno in Mozambico.
Ecco ora, scomodando Roland Barthes e seguendo il suo ragionamento, vorrei accomunare questa fotografia a quella del “Giardino d’Inverno”.
Barthes diceva che dopo aver cercato in lungo e in largo tra le vecchie fotografie di sua madre, rimase deluso per non essere riuscito a riconoscerla in nessuna di esse, alcune volte la riconosceva parzialmente nei lineamenti, altre volte nell’espressione del viso ma in nessuna poteva affermare che quella fosse la sua perfetta rappresentazione.
Questo sentimento cessò quando trovò una vecchia fotografia cartonata del 1898, denominata da lui stesso il “Giardino d’Inverno”, allora, sua madre, aveva cinque anni, ma lui, osservando la foto, la ritrovò completamente, nella luminosità del viso, nella posa delle mani e in quell’espressione dolce e innocente che l’aveva contraddistinta negli anni a venire.
Allo stesso modo trovo che Salgado, nello sguardo di quella donna, sia pienamente riuscito a rappresentarla, ritraendo la sua condizione, la sua purezza e il suo stato d’animo.
Ecco quindi spiegata la seconda parole chiave.
La figura di Salgado è sempre stata molto legata alla natura e ai popoli, questo lo si nota osservando i suoi scatti, ma anche seguendo i suoi impegni nel sociale; dal 1991 è infatti impegnato in un progetto di riforestazione e conservazione della foresta Atlantica brasiliana.
Dal 2004 ha iniziato un immenso lavoro intitolato Genesis e che, terminato da poco, sarà in mostra dal 1 febbraio al 11 maggio 2014 alla Casa dei Tre Oci a Venezia.
Con questo progetto l’Autore ha ritratto la natura e i suoi abitanti al loro stato originario in modo da far riflettere sulla necessità di salvaguardare il nostra Pianeta, di cambiare il nostro stile di vita adottando comportamenti sostenibili.
Il suo pensiero è racchiuso in questa frase che dice al termine di una recente intervista: “Se avessimo la capacità di vivere migliaia di anni invece di qualche decennio, capiremmo forse che tutto è vivo e che facciamo parte di questo tutto”.
Quindi chi ha la possibilità di visitare la mostra a Venezia lo faccia, non se ne pentirà.
www.treoci.org
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mi trovo in difficolta’ giudicare Salgado.
Infatti durante l’incontro avuto lo scorso inverno sono rimasto assai perplesso quando mi ha raccontato della sua svolta digitale e delle ragioni che lo hanno portato a questo.
Salgado e’ diventato un digitalista convinto a tutti effetti ripudiando quanto fatto nel passato, ogni sua immagine digitale viene ora inviata a un laboratorio francese dove viene “applicata” quella grana analogica che ha dato carattere a molte delle sue foto del passato.
Non mi hanno convinto le sue motivazioni e cioe’ l’ha fatto per motivi ecologici e comodita’ visto che era costretto a girare per aeroporti con una valigia di rullini (6/800 per ogni occasione) pero’ comprendo pure che con l’eta’ si desiderano provare nuove esperienze.
Ah per inciso ha abbandonato pure Leica per passare a una fiammante Canon (allora era una D5) e personalmente credo che il fattore economico (leggasi sponsor) abbia influenzato questa scelta
[…] “GENESI – Sebastiao Salgado” Palazzo della Regione, Fotografia – fino al 02.11.2014 245 immagini meravigliose del fotografo brasiliano, per stupirci davanti alla meraviglia del pianeta terra e dell’essere umano. (Per maggiori informazioni sul fotografo, vi ricordiamo l’articolo pubblicato qualche tempo fa qui) […]