Era il 1839, quando in Francia, venne ufficialmente riconosciuta la scoperta della fotografia, il 6 gennaio a voler essere precisi.
Era invece solo il 1838, quando Louis Daguerre realizzò lo storico dagherrotipo, quello che ritrae il Boulevard du Temple e che probabilmente contiene una delle prime messe in scena fotografiche.
Si presume infatti che l’uomo in basso a sinistra sia stato messo lì appositamente da Daguerre, mentre il resto del boulevard viene praticamente cancellato grazie al tempo di otturazione di diversi minuti.
Quindi, sin dagli albori, è noto che la fotografia mente.
Sempre sin dagli albori, sono anche note le diatribe tra chi credeva che la fotografia non fosse arte, poiché non direttamente prodotta dalla mano dell’uomo e chi, invece, sosteneva il contrario.
Perciò all’epoca c’erano i fotografi tecnici, i catalogatori, quelli che non si interessavano se quello che producevano fosse arte o meno e i fotografi che invece credevano fermamente che la loro produzione non fosse meno preziosa di quella di un pittore, di uno scultore o di qualsiasi altro artista.
Henry Peach Robinson è da collocare in quest’ultima categoria.
Assieme ad Oscar Gustave Rejlander è da considerare uno dei maggiori esponenti pittorialisti britannici dell’800.
I due furono tra i primi a realizzare le stampe composite o combinate (l’equivalente dei moderni fotomontaggi), sovrapponendo più negativi per creare un’unica lastra e, di conseguenza, un’unica immagine.
Nella famosa Fading Away, risalente al 1858, Robinson adoperò cinque diversi negativi, mentre Rejlander ben trentatré per la sua Two Ways of Life (1857).
Fading Away, 1858.
Two Ways of Life, 1857.
Il loro intento era proprio di innalzare la fotografia, elevandola ad arte; infatti i due Autori impiegavano settimane, se non addirittura mesi, per completare un’immagine.
Le fasi preparatorie agli scatti erano altrettanto pensate e studiate, sia Robinson che Rejlander usavano realizzare degli schizzi di quella che doveva essere l’opera finita, alla pari di un comune pittore.
Si dimostrò così che per fare fotografia occorreva un’idea e un progetto ben chiaro.
Lo stesso Rejlander nel 1863 affermò: “Ho portato con me uno schizzo al quale ho pensato a lungo. È già un lavoro artistico. Non lo è? La stessa strada che fa un pittore quando intende dipingere la deve fare un fotografo quando vuole fare una composizione fotografica. Le due cose stanno insieme, si separano e poi si riuniscono.”
Inoltre ad impreziosire le loro opere era l’unicità, la loro non perfetta riproducibilità, l’impossibilità di ristamparle ottenendo il medesimo risultato.
Un’altra importante questione.
Fading Away all’epoca venne duramente contestata poiché rappresentava un tema forte e difficile come quello della morte, tema che venne trattato più e più volte dalla pittura ma che non era convenzionale alla fotografia.
Per di più i soggetti erano degli attori, delle comparse che mai erano state nella stessa stanza tutte assieme, la scena finale non è mai esistita, se non nell’immaginario dell’Autore.
Forse nel 2015, questi, sono discorsi banali da fare, non ce n’è bisogno.
Ma siamo sicuri che là fuori non ci sia ancora qualcuno che creda nella fedeltà e nella bontà del mezzo fotografico?
La mano sul fuoco non ce la metterei.
Henry Peach Robinson, He Never Told His Love, 1884.
Henry Peach Robinson, Preparing Spring Flowers for Market, 1873.
Henry Peach Robinson, When the Day’s Work Is Done, 1877.
Oscar Gustave Rejlander, The Dream, 1860.
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